venerdì 15 maggio 2015

Il brigante Mammone. Un cannibale

Il brigante Mammone, nominato “generale” dell’esercito “sanfedista” da Sua Eminenza il cardinale Fabrizio Ruffo di Calabria, elogiato personalmente da Sua Altezza Reale Ferdinando di Borbone (meglio noto come “il re lazzarone”), era notoriamente un cannibale. Si può riportare al riguardo una fonte, fra le molte disponibili: ”Mammone Gaetano, prima molinaio, indi generale in capo dell’insorgenza di Sora, è un mostro orribile, di cui difficilmente si trova l’eguale. In due mesi di comando, in poca estensione di paese, ha fatto fucilar trecentocinquanta infelici;…Non si parla de’ saccheggi, delle violenze, degl’incendi;…non de’ nuovi generi di morte dalla sua crudeltà inventati… Il suo desiderio di sangue umano era tale, che si beveva tutto quello che usciva dagl’infelici che faceva scannare. Chi scrive (Cuoco, ndr) lo ha veduto egli stesso beversi il sangue suo dopo essersi salassato, e cercar con avidità quello degli altri salassati che erano con lui. Pranzava avendo a tavola qualche testa ancora grondante sangue; beveva in un cranio…”. (Vincenzo Cuoco, “Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli”, Bur 1999, cpt XLIV, pag. 265, nota 4). Il brigante Mammone si era dato alla macchia dopo aver strozzato con le proprie mani un bambino che lo aveva dileggiato per il suo aspetto fisico deforme. Ingrossatasi la sua banda nelle condizioni di caos createsi dopo il tracollo del reame borbonico, egli aveva instaurato un proprio regime del terrore nei paesi in cui imperversava, facendo fucilare in due mesi circa 350 persone. Questo cannibale, a cui il re Ferdinando di Borbone scriveva chiamandolo suo “generale” ed “amico”, giunse al punto da celebrare una parodia satanica della messa, con tanto di sacrificio umano ed antropofagia. Fatto prigioniero un repubblicano, Mammone si recò in una chiesa, forzò un armadio contenente gli arredi liturgici e sacerdotali, quali il calice eucaristico, la stola, il piviale, e dopo essersi rivestito dei paramenti inscenò una sorta di celebrazione eucaristica, contornato dai suoi banditi. Al momento in cui sarebbe dovuta avvenire la consacrazione delle specie eucaristiche, quando durante una messa si pone il vino nel calice liturgico, Mammone sgozzò il prigioniero, facendo colare il sangue dentro la coppa, per poi berlo (Rosario Villari, “Giacobini e Sanfedisti: saggio critico storico di Napoli al 1799”). Questo medesimo personaggio ebbe fra le sue vittime anche ecclesiastici, come l’arciprete di Gallinaro, e giunse ad ordinare ad un suo subalterno d’uccidere l’abate di Montecassino. Il presunto difensore del cristianesimo contro i rivoluzionari, presentati dalla propaganda borbonica come “empi”, era quindi non solo un assassino, ma anche un antropofago, un sacrilego e forse persino un satanista vero e proprio.

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