È ampiamente noto e provato (cfr. gli studi di Antonio Lucarelli, Basilide Del Zio, Saint Jorioz, Franco Molfese, U. Caldora ecc.) che in schiacciante maggioranza i briganti ed i loro capi nel secolo XIX altro non erano che criminali comuni, i quali si servivano strumentalmente della causa sedicente legittimista come modo per ottenere armi, denaro, appoggi di vario genere, ma che erano interessati soltanto al proprio interesse personale. Quasi tutti i capi del brigantaggio degli anni 1860-1870 erano delinquenti e pregiudicati, con condanne riportate già in epoca borbonica. Il comportamento dei briganti nei confronti della popolazione civile fu quindi segnato da gravi violenze di natura criminale: assassini, sequestri di persona, estorsioni, stupri, furti e rapine ecc.
Delinquenti professionali come Carmine Crocco e Ninco Nanco erano i degni eredi dei moltissimi capobriganti che erano stati attivi nel corso dei secoli nel Mezzogiorno d’Italia anche, naturalmente, durante l’epoca borbonica.
Già solo restando all’epoca di Ferdinando I si trovano, fra i principali briganti, il cannibale Mammone, il famigerato Frà Diavolo, Fortunato Cantalupo detto “Terrore del Gargano”, Matteo Saracino detto “Il carnefice di Campobasso”, i fratelli Giovanni e Carmine Caruso, soprannominati “I mangia gatti”, Basso Romeo detto “re della campagna”, Giovanni Tolone, detto “il ritirato di Girifalco” o “spavento della Calabria”, Taccone, che giunse a definirsi re della Basilicata, Gaetano Vardarelli, che pretese ed ottenne di trattare direttamente col sovrano borbonico, il sacerdote Ciro Annicchiarico, Panzanera, Francatrippa, Marciano Gallo, Nicola Masi, Vito Rizzieri, Giuseppe de Furia, Pennacchio, Quagliarella, Occhialone, Battaglini, Scattone, Parafante, Bizzarro, Benincaso, Santoro, Scarola, De Leo, Nicola del Gobbo, Damiano Macchia, Donato Castelluccio, Natale Cellitti ecc. L’elenco è del tutto parziale ed incompleto nell’enumerare coloro che un generale borbonico, Nunziante, definiva “mostri invecchiati nel delitto”.
Sotto Francesco II, ancora pochi mesi prima della proclamazione dell’Unità d’Italia e con il reame in pieno disfacimento, il governo borbonico emise norme arcigne per distruggere le bande brigantesche, conferendo alle autorità militari poteri speciali.
Già solo restando all’epoca di Ferdinando I si trovano, fra i principali briganti, il cannibale Mammone, il famigerato Frà Diavolo, Fortunato Cantalupo detto “Terrore del Gargano”, Matteo Saracino detto “Il carnefice di Campobasso”, i fratelli Giovanni e Carmine Caruso, soprannominati “I mangia gatti”, Basso Romeo detto “re della campagna”, Giovanni Tolone, detto “il ritirato di Girifalco” o “spavento della Calabria”, Taccone, che giunse a definirsi re della Basilicata, Gaetano Vardarelli, che pretese ed ottenne di trattare direttamente col sovrano borbonico, il sacerdote Ciro Annicchiarico, Panzanera, Francatrippa, Marciano Gallo, Nicola Masi, Vito Rizzieri, Giuseppe de Furia, Pennacchio, Quagliarella, Occhialone, Battaglini, Scattone, Parafante, Bizzarro, Benincaso, Santoro, Scarola, De Leo, Nicola del Gobbo, Damiano Macchia, Donato Castelluccio, Natale Cellitti ecc. L’elenco è del tutto parziale ed incompleto nell’enumerare coloro che un generale borbonico, Nunziante, definiva “mostri invecchiati nel delitto”.
Sotto Francesco II, ancora pochi mesi prima della proclamazione dell’Unità d’Italia e con il reame in pieno disfacimento, il governo borbonico emise norme arcigne per distruggere le bande brigantesche, conferendo alle autorità militari poteri speciali.
L’entità dei crimini compiuti ad opera di questi delinquenti rimane ad oggi ancora ignota nelle sue precise dimensioni quantitative. Giusto per dare un’idea delle sue possibili proporzioni si può ricordare la stima che uno studio del brigantaggio, Adolfo Perrone (“Il brigantaggio e l’Unità d’Italia” Milano-Varese 1963, p. 266) riporta di circa 5 o 6 mila civili assassinati dai briganti. Si tratta d’un totale che sostanzialmente equivale a quello proposto da Franco Molfese, senz’altro il massimo studioso del brigantaggio postunitario, per il totale di briganti abbattuti o giustiziati dall’esercito e dalla guardia nazionale nel corso della repressione del fenomeno dal 1861 al 1865. La somma di civili assassinati suggerita dal Perrone anche se fosse esatta non terrebbe conto comunque dei ferimenti, dei rapimenti, delle violenze carnali, degli incendi e di tutti gli altri reati compiuti da questi criminali, per non parlare poi dei militari uccisi dai briganti stessi. La cifra proposta dal Perrone potrebbe essere comunque di molto inferiore al vero. Ad esempio, un altro studioso del brigantaggio, Basilide Del Zio (“Melfi e le agitazioni nel melfese. Il brigantaggio”, Melfi 1905), indica con molta precisione che, nel solo territorio di Melfi e nel solo 1863 (quindi in un luogo ed un periodo di tempo molto limitati), avvennero 175 assassini, 130 ferimenti e mutilazioni, 81 stupri, 800 fra furti e rapine, 200 incendi dolosi, 350 ricatti ad opera delle bande.
Un esame esaustivo dei crimini perpetrati dai briganti richiederebbe un lavoro di molti anni compiuto da un’intera squadra di studiosi, poiché bisognerebbe esaminare una documentazione sterminata e per di più sparpagliata in una quantità d’archivi differenti e fonti d’altra natura ancora.
Un esame esaustivo dei crimini perpetrati dai briganti richiederebbe un lavoro di molti anni compiuto da un’intera squadra di studiosi, poiché bisognerebbe esaminare una documentazione sterminata e per di più sparpagliata in una quantità d’archivi differenti e fonti d’altra natura ancora.
In attesa che un tale meritevole studio sia realizzato, è comunque agevole offrire una rapida sintesi dell’operato delinquenziale di singoli briganti o bande brigantesche, in modo da fornirne un campione ridotto, che, sebbene non possa sostituire un’analisi statistica approfondita, pure può avere carattere esemplificativo.
Giusto per indicare alcuni casi, è agevole ricordare i cannibali Gaetano Mammone, Ninco Nanco e Cipriano la Gala, il maniaco omicida Michele Caruso, lo stupratore seriale Carmine Crocco, l’infanticida Giuseppe Mozzato uccisore del proprio stesso figlio, il camorrista Pilone …
Giusto per indicare alcuni casi, è agevole ricordare i cannibali Gaetano Mammone, Ninco Nanco e Cipriano la Gala, il maniaco omicida Michele Caruso, lo stupratore seriale Carmine Crocco, l’infanticida Giuseppe Mozzato uccisore del proprio stesso figlio, il camorrista Pilone …
E' triste che via sia gente che ammira ed esalta questa genia di delinquenti (basta vedere certe pagine FB...)! D'altra parte se ai giorni nostri vi sono persone che esaltano "jenny a' carogna" e se in certi quartieri di Napoli la popolazione difende i camorristi contro le forze dell'ordine (sia detto senza alcun intento dispregiativo o diffamatorio, perché credo che la maggior parte dei napoletani siano onesti), penso che non ci sia da meravigliarsi...
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